E' impressionante assai la situazione che si è venuta a creare in Italia in seguito all'epidemia d'influenza che viene chiamata Coronavirus come se si trattasse della Peste Nera che decimò l'Europa a metà del XIV secolo. Ed è altrettanto sintomatico notare che le prime pagine dei nostri quotidiani, i vari telegiornali e le pagine di internet, tutta l'intera informazione, pongono con allarme la questione in prima pagina mentre Le Monde in Francia, il Frankfurter Allgemeine in Germania, El Pais in Spagna, cioè i più autorevoli quotidiani dei nostri vicini non gridano allarme con la medesima sonorità e tengono le notizie relative alla malattia fra le pagine di cronaca. E' altrettanto vero che sembriamo noi i più afflitti, anche perché il nostro sistema sanitario sembra avere reagito con estrema efficacia, ha spinto i politici locali ad assumere la faccia dei grandi momenti tragici e ad isolare intere parti del territorio esattamente come in Cina dove le morti si contano ormai a migliaia. Ci si chiede dove sta la verità; e intanto si corre al supermercato a fare provviste da guerra, si evitano i ristoranti e si ammira l'efficacia d'avere chiuso teatri e altri luoghi di grande pubblico. Siamo quindi l'eccellenza del continente, i più efficaci, i più attenti. O almeno così sembra o così intendono i nostri governanti. E nessuno vuole indagare circa il fatto che possa la questione rientrare non fra le corrette raccomandazioni bensì possa cadere sotto la fattispecie dell'articolo 658 del codice penale, quello che prevede il cosiddetto "procurato allarme". Nel frattempo non si trova più una singola mascherina, il gel amuchina è scomparso e forse fra poco inizierà il contrabbando dalla vicina Svizzera e il mercato nero tipico delle situazioni belliche.
E' probabile che la giusta precauzione si sia trasformata in preoccupazione, poi in paura e ora in panico. Torna in mente il libro che scrisse nel 1841 il giornalista scozzese Charles Mackay "Extraordinary Popular Delusions and the Madness of Crowds". Esiste una follia delle folle. Ma è questa determinata da sedimenti ancestrali nella coscienza di queste folle. I tedeschi hanno paura più dell'inflazione che del virus, i francesi dei gilet gialli nella rivolta delle province e degli islamici nelle periferie urbane, quelli descritti in Soumission da Michel Houellebecq. La paura è talvolta procurata dalla letteratura, se è tuttora vero che la memoria dei Promessi Sposi rimane, malgrado la disattenzione scolastica, ancorata nell'animo degli italiani. La peste del 1630 narrata dal Manzoni, quella che portò alla caccia agli untori e alla crudele morte di Gian Giacomo Mora ricordata dalla Colonna Infame (altro testo manzoniano), rimane viva nella coscienza collettiva. Ai Settala, padre e figlio scienziati, che furono allora maltrattati dalla folla per averne indicato i rischi, Milano giustamente ha dedicato una strada.
E così tornano ad ossessionare le menti quei fantasmi che la Storia tiene sempre vivi. Torna la peste che fece morire Tiziano e suo figlio Orazio nell'estate del 1576, quando i nobili fuggivano da Venezia verso le loro ville di campagna e i contadini li uccidevano coi forconi per evitare il contagio. Col figlio già morto e lui stesso ammorbato, Tiziano dipinse da grande vecchio il più patetico e ultimo dei suoi capolavori, quella Pietà destinata alla propria tomba ai Frari, che non riuscì ad ultimare e che fu completata da Palma il Giovane.
E' probabile che la giusta precauzione si sia trasformata in preoccupazione, poi in paura e ora in panico. Torna in mente il libro che scrisse nel 1841 il giornalista scozzese Charles Mackay "Extraordinary Popular Delusions and the Madness of Crowds". Esiste una follia delle folle. Ma è questa determinata da sedimenti ancestrali nella coscienza di queste folle. I tedeschi hanno paura più dell'inflazione che del virus, i francesi dei gilet gialli nella rivolta delle province e degli islamici nelle periferie urbane, quelli descritti in Soumission da Michel Houellebecq. La paura è talvolta procurata dalla letteratura, se è tuttora vero che la memoria dei Promessi Sposi rimane, malgrado la disattenzione scolastica, ancorata nell'animo degli italiani. La peste del 1630 narrata dal Manzoni, quella che portò alla caccia agli untori e alla crudele morte di Gian Giacomo Mora ricordata dalla Colonna Infame (altro testo manzoniano), rimane viva nella coscienza collettiva. Ai Settala, padre e figlio scienziati, che furono allora maltrattati dalla folla per averne indicato i rischi, Milano giustamente ha dedicato una strada.
E così tornano ad ossessionare le menti quei fantasmi che la Storia tiene sempre vivi. Torna la peste che fece morire Tiziano e suo figlio Orazio nell'estate del 1576, quando i nobili fuggivano da Venezia verso le loro ville di campagna e i contadini li uccidevano coi forconi per evitare il contagio. Col figlio già morto e lui stesso ammorbato, Tiziano dipinse da grande vecchio il più patetico e ultimo dei suoi capolavori, quella Pietà destinata alla propria tomba ai Frari, che non riuscì ad ultimare e che fu completata da Palma il Giovane.
Il Coronavirus non è la peste nera che colpì l'Europa fra il 1346 e il 1353, riducendo gli abitanti dell'intero continente da 50 a 25 milioni, decimando Siena che passò da 70.000 a 7000 abitanti, spegnendo due focolari ogni tre in Francia e portando l'anonimo maestro a dipingere il Trionfo della Morte di Palazzo Abatellis a Palermo. Ma la paura che si sta generando è la medesima, è quella biblica delle piaghe d'Egitto. E' una paura atavica alla quale più che al morbo stesso la politica dovrebbe prestare attenzione, senza profittarne per fare dimenticare gli altri guai.
Testo di Philippe Daverio