L’autotrascendimento dell’uomo tenta diverse strade.
Non solo quelle consuete della cosciente e morale
assunzione dei propri limiti e del conseguente adeguamento dei propri obiettivi, e neppure quella della
realizzazione inconsapevole, emozionata ed avventurosa del soggetto, che nel
superamento dei propri confini e nel grido, ricerca un ideale di libertà
estrema.
L’autotrascendimento non percorre la via angusta dell’accettazione fideistica della
propria precaria condizione umana, né quella spericolata del delirio di
onnipotenza. Né autocastrazione, né inflazione dell’Ego. Né rassegnazione, né
mania.
Varcare la soglia invisibile della coscienza comune per riuscire
“ad essere nell’esserci” significa camminare liberamente tra la terra e il
cielo, significa pervenire ad una “porta senza porta”, non solo oltre ogni
limite, ma semplicemente oltre... L’uomo è la vasta energia della sua
trasmutazione, ed è così, fino alla morte il suo proprio futuro. L’uomo che
presagisce l’esistenza di un’esperienza estrema, deve inizialmente affrontare
uno sforzo ben superiore a quello di accettare responsabilmente e
consapevolmente i propri limiti, come la morale comune prudentemente
suggerisce.
All’inizio, con grande fatica e sconcerto, dovrà sperimentare
gradualmente e tenacemente i propri confini e confrontarsi con i fantasmi delle
proprie paure, passate e presenti. Poi dovrà comprendere che i suoi gesti non
sono perfetti e quindi che sono errate le sue ambizioni, che l’orgoglio è il
suo peggior nemico, che l’attaccamento all’Ego è fonte di ogni paura. Infine,
turbato, scoprirà di dover rinunciare alle sue certezze di sempre: la volontà
come forza causale, la chiara distinzione fra mezzi e fini, il desiderio di
riuscire ad ogni costo. “ Compiere senza rimanere autore “ suggerisce Laotse
nel “Libro della via e della virtu’”.
I percorsi estremi non vogliono zavorre, occorre scrollarsi tutto di dosso, restare nudi e vuoti per accogliere quasi inconsapevolmente l’unico gesto giusto, quello che coglie ad un tempo l’essenza di sé e dell’obiettivo, quello che gli esperti tiratori con l’arco della Scuola Zen definiscono “Un colpo-Una vita”. Nel raggiungimento della meta, la ricerca, i tempi, i mezzi, gli obiettivi, gli strumenti, i percorsi, i compagni di viaggio diventano una cosa sola e non è possibile separali. Fare centro mette in gioco tutta l’esistenza dell’uomo, tutte le nostre esistenze. Il bersaglio da colpire è la coscienza dell’uno e dei molti. Scopriamo così che esiste non solo la libertà d’essere ciò che siamo, ma soprattutto la libertà d’essere ciò che non siamo, esseri sempre in avvenire, capaci di perpetuo ricominciamento, di creazione continua. Se la materia trascura di essere, la vita trascura di vivere, il cuore trascura di amare, noi perdiamo il “Paradiso”. Quando l’uomo di scienza raggiunge la meta illumina la sua vita e molte altre vite. In questo senso, gli studi e le testimonianze di Margherita Hack hanno un profondo significato collettivo. Esse mostrano una via, certo non l’unica, per ricominciare a dialogare con la nostra natura più intima ed infinita. Esse ci restituiscono la speranza, e la capacità di cogliere attimi di felicità struggente in cui non siamo più nel mondo, ma siamo il mondo.
Silvana Dallera